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Astrologia: Il Manifesto (parte 1)
di Patrice Guinard
Trad. di Dario Rizzo

 

Note del traduttore : L'approccio a un'opera di tale portata, valore e coerenza ha instillato nel lavoro di traduzione la necessità di un'aderenza quanto più possibile profonda al contenuto, alla forma scrittoria e, cosa che più conta, all'intenzione dell'autore.
Con questo fondamentale trattato astrologico - dall'eco senz'altro duratura - che sarebbe penalizzante definire argomentativo, Patrice Guinard ha messo a disposizione una conoscenza indispensabile, multiculturale e multidisciplinare, e un autorevole punto di riferimento: sia affinché curiosi, simpatizzanti, studenti, praticanti ed esperti dell'astrologia, prendano piena coscienza del linguaggio e dei fondamenti in cui si identificano, sia per rispondere in modo esaustivo e documentato ai suoi detrattori e censori.

 

INDICE
1. Pensare Astrologia
2. Quale Ragione per l'Astrologia?
3. La Scienza Di Fronte all'Astrologia
 

Quando ho proposto, nel 1984, il mio primo progetto di tesi a un "filosofo" di un'università di Bordeaux, mi fu chiesto di presentare "l'astrologia nell'insieme" (poiché si presume che non sia conosciuta dal lettore accademico), prima di compararla a diversi sistemi filosofici classici: come se esistesse un' unica astrologia, come se non ci fosse altrettanta diversità in questo settore quanta ce n'è in quel modo di pensare occidentale che chiamiamo filosofia. Compito irrealizzabile, che mi ha condotto da un relatore di cui mi avevano assicurato "l'apertura tollerante a conoscenze marginali". Così, l'assenza di nozioni preliminari riguardanti questa conoscenza, legittimata dalla sua estirpazione dalla cultura europea, avrebbe dovuto motivare un approccio comparativo tra filosofie ancorate nella nostra memoria culturale ed un surrogato d'astrologia al quale si concede, generosamente, il diritto di apparire soltanto sotto forma d'amalgama imbastardita.
 
 

1. Pensare Astrologia

"Quanto ai filosofi, l'astrologia è affar loro" ( Paul Valéry: Quaderni )
 

L'astrologia non nasce dalla sola osservazione delle stelle, ma anche dallo stupore dell'Io dinanzi alla diversità umana e alla sensazione della sua diversità: perché io sono così, e non come quest'altro? La coscienza astrologica non scaturisce da una doppia constatazione, che sarebbe quella dell'osservazione esterna e quella dell'introspezione, ma piuttosto da un'esperienza più vasta, esterna-interna, psichica e conoscitiva: è in un sol colpo che comprendo il mio essere, quello altrui, il mondo esterno, e le loro comuni radici astrali. Si perviene all'astrologia soltanto attraverso un rapimento, abbastanza simile ad una rivelazione di natura spirituale, quindi con un'approvazione, intuitiva ed intellettuale, della partecipazione di ogni essere all'ordine cosmico ed alla totalità dell'universo.

Non si apprende dell'astrologia: la riceve improvvisamente, non soltanto con la scoperta di testi e di pratiche resi marginali da una conoscenza istituzionalizzata che non risponde alle sue aspirazioni, ma soprattutto perché si è vissuta un'epoca in cui la coscienza cerca di trovare, in genere durante l'adolescenza, una metamorfosi della propria comprensione del mondo e di sé. D'altro canto, si impara "a non credere" all'astrologia, ma a considerare questa conoscenza millenaria dell'essere umano come pertinente alla totalità della propria esperienza esistenziale, e ripudiare i discorsi superstiziosi e le pratiche dubbie ad essa associate. L'astrologia non è materia di credo mentale, né di verifica sperimentale, ma di ‘adesione psichica': esiste una realtà che ci influenza e di cui i sistemi di rappresentazione circostanti non rendono sufficientemente conto.

Pensare l'astrologia significa cercare di definire il suo status, determinare le sue basi, le sue strutture operanti ed i suoi livelli d'articolazione, circoscrivere i suoi limiti ed i suoi campi d'applicazione, delucidare le sue prospettive antropologiche. L'astrologia si distingue dall'insieme dei discorsi religiosi, filosofici ed ideologici, in ragione della sua perennità, della sua ubiquità, della sua capacità di persistere e rigenerarsi nonostante le norme e le mode culturali. Attraversando le età e le civiltà, rinnova tempestivamente le sue vesti concettuali, prendendo in prestito dagli ambienti culturali il necessario per la sua perpetuazione. [1] Nonostante la cecità spirituale e la turbolenza mentale attuali, il suo oggetto resta lo stesso: la relazione strutturale tra l'ambiente geo-solare e la psiche.

La coscienza è immersa in una folla di idee, di immagini, di memorie, di informazioni - e di disinformazione - derivate dal mondo esterno o generate dalla sua preoccupazione. Quello mentale è un campo di forze dagli orientamenti divergenti, di eruzioni e d'agitazione incessante. Come ordinare questo caos che riflette il circostante? I sistemi filosofici ricercano l'unificazione nella dichiarazione di una prospettiva o di un orientamento particolare della coscienza. È per questo che sono così dissimili fra loro e caratterizzano generalmente, come ha sottolineato Nietzsche, il temperamento dei loro creatori. La scienza, che ha invaso il terreno di una speculazione metafisica diventata moribonda, presenta non una vera prospettiva unificata del reale, ma degli strumenti d'analisi del mondo esterno, mediante la frammentazione degli oggetti, la misura, e la sperimentazione dei fenomeni. Ha sostituito la sua oggettività disorientata alla soggettività ordinata delle filosofie.

L'astrologia ammette logicamente tre postulati:

    1. Il mondo dei fatti, del concreto, delle cose, "dell'esperienza", come quello delle leggi, delle parole, delle rappresentazioni mentali, appare alla coscienza soltanto grazie alla presenza di un mondo primario, psichico, interno, che le riceve e organizza. Le idee dello spirito sorgono soltanto a causa dell'assimilazione del mondo esterno mediante un interiorità qualificata. Gli stati psichici prevalgono sulle cose e le parole.
    2. Questo mondo interno è in dipendenza perpetua da, e in innervamento continuo con, i cicli planetari. È per questo che lo nomino psichico-astrale, poiché chiamo impressional (da impressio di Paracelso) il segno di quest'impregnazione psichica da parte degli operatori astrali.
    3. Gli impressionaux si differenziano attraverso strutture. Questa struttura della psiche, individuale e collettiva, si esplica attraverso quattro contesti condizionanti : energicamente con le forze planetarie, spazialmente con le case, temporalmente con i cicli planetari, strutturalmente con i segni zodiacali.

L'integrazione organica dei ritmi planetari, al livello del sistema nervoso o del codice genetico, ipotesi di base della realtà astrale, richiede dunque una categoria di realtà - gli impressionaux o impressioni astrali - che designano la relazione dell'astrale con la coscienza. Tutto ciò che si può dire di un'impressione astrale è che lascia una traccia effimera nella coscienza, una colorazione psichica evanescente. A questi impressionaux, direttamente ed internamente sperimentati dalla coscienza, ma inverificabili, imponderabili, troppo tenui per essere sfruttati dai macchinari del pensiero logico-sperimentale, sono assegnate delle forme archetipiche [2], simboliche o mitiche, che riassorbono lo squilibrio psico-mentale causato dall'impossibilità di fissare le caratteristiche dei primi. Il simbolo ha per funzione quella di qualificare queste entità liminari, refrattarie a qualsiasi tentativo di determinazione, e compensare l'inadeguatezza della ragione a spiegare il reale nella sua interezza. Non si parlerà d'influenza (termine che ha una connotazione fisica e che contiene l'idea di un tipo d'azione d'origine esterna), ma di incidenza, cioè di un'integrazione interna, psichica, d'origine astrale.

Il segnale astronomico è considerato come impressionale, ed espresso come simbolo. L'astrale (gli impressionaux) proviene dallo psichico, l'astrologico (i simboli e le strutture operanti) dal mentale. L'astrale designa ciò che è considerato, vissuto, "stampato" nella psiche, percepito fuggitivamente, o non percepito; e l'astrologico è strutturato, concettualizzato, costruito in modelli. Questa distinzione è al cuore del dibattito relativo alla natura ed alle conseguenze pratiche della conoscenza astrologica.

Supposta irrazionale, immaginaria o improbabile, perché inaccessibile agli strumenti d'osservazione e non analizzabile dalle leggi della causalità, l'astrologia -- scienza dell'imponderabile, consapevolezza dell'evanescente, conoscenza dell'impercettibile -- non dipende dal fisico o dal mentale, ma dalla loro radice comune che è "dietro i nostri occhi" (Paracelso), non dall'aldilà, ma al di qua, dipende da qualcosa di intimo, proprio, vicino a noi stessi e tuttavia così sconosciuto.

All'inizio del secolo XVI l'astrologia e l'astronomia sono ancora tributarie dei principi di razionalizzazione proposti da Tolomeo. Nel 1543, Copernico orienta di nuovo la prospettiva astronomica dei suoi contemporanei (purtroppo le sue raccomandazioni economiche non hanno conosciuto la stessa fortuna presso i posteri). Una vera "rivoluzione astrologica" si è prodotta simultaneamente con la redazione, cinque anni prima della pubblicazione del trattato di Copernico, dell' Astronomia magna di Paracelso, ma è passata inosservata. Morto due anni prima del suo maggiore, Filippo Bombasto è stato l'istigatore di questa rinascita, sviluppando la dottrina del cielo o del firmamento interno, visivo e non visibile, della stella interna [3], dei miti interni in ciascuno, e della impressio, prodotta in ciascuno dagli influssi planetari, segno interiorizzato della presenza delle stelle, e non più un segno o causa di un'esteriorità visibile e fattuale. Analogamente a Copernico per l'eliocentrismo, Paracelso non ha inventato il suo modello ma lo ha trovato. Non è improbabile che i primi intellettuali del cristianesimo si siano particolarmente adoperati per fare scomparire gli scritti pagani, pitagorici ed ermetici significativi, di cui sono state lasciate soltanto alcune tracce alterate nell'Adversus composto dai padri della chiesa. E come per l'eliocentrismo copernicano, la concezione astrologica paracelsica non si è interamente liberata di vecchie radici (le orbite circolari dei pianeti in Copernico, l'astrologia medica da Paracelso). Difficile liberarsi da modelli vecchi di circa due millenni!

L'astrologia ha per funzione di determinare le leggi strutturali dell'interiorità. Nella sua applicazione pratica "oroscopica", è un attrezzo di comprensione del vissuto: comparabile all'Yi King, tratteggia l'esperienza della coscienza. Non ha conseguenze di previsione o divinatorie immediate, innanzitutto perché l'esperto non è in grado di valutare con sicurezza il peso dei fattori extra-astrologici (biologici, socioculturali, familiari, professionali, climatici...), ma soprattutto perché l'incidenza astrale non opera al livello del fattuale, dell'effettivo, del concreto esistenziale, ma del loro arrivo interno. Agisce sulla relazione tra ciò che è considerato e ciò che si manifesta. È per questo che l'interpretazione psico-mentale e la spiegazione fisiologica non bastano a spiegare la sua natura. La nozione di impressional libera l'astrologia dall'asservimento ad una psicologia esterna, che sia psicanalitica, comportamentale, fenomenologica, gestaltica, esistenzialista o anche riflessologica. È tempo per l'astrologia di forgiare i propri concetti.
 
 

2. Quale Ragione per l'Astrologia?

"Quando giunge un tempo di sentenze
nel tamburellare della vostra filosofia,
quando vi è uno sgambetto della sorte (...)
allora ecco, la Grande Questione (...)
Ecco l'astrologia eterna,
cui una grande saggezza ti conduce,
anche se un po' di scienza te ne allontana."
( Léon- Paul Fargue: Le Quattro Stagioni )
 

La tecnolatria moderna non favorisce più la contemplazione del cielo stellato, che animava ancora le sere isolate di Kant, ma piuttosto una sorta di sortilegio, di inebetimento, d'agitazioni convulsive, dinanzi alla ritrasmissione di un incontro o ad una teletrasmissione. Indubbiamente non è più lo stesso "spettacolo", né soprattutto lo stesso sguardo: la selezione della nostra percezione del reale implica una privazione della nostra relazione naturale con il mondo. Una membrana protettiva ci separa dalle cose. La mediazione della nostra relazione con il reale, combinata alla specializzazione della nostra attività, genera un'uniformità massiva dei punti di vista, tanto più smussata quanto più si radica in necessità artificiali. Non siamo più afferrati dalla realtà psichica e fisica, ma presi in ostaggio dalle nostre tecniche di sostituzione. Come questa perdita di contatto e questa desensibilizzazione potrebbero restare senza effetto sulla precisione delle nostre rappresentazioni mentali?

Si possono ammettere con Kant almeno tre sfaccettature dell'idea di verità, a seconda che si applichi alla lingua ed al discorso, agli oggetti dell'esperienza sensibile, o alle capacità dello spirito.

    La verità formale, condizione preliminare e necessaria di qualsiasi verità, consiste nell'accordo della conoscenza con sé stessa, cioè nell'organizzazione logica del discorso e nel montaggio coerente e non contraddittorio dei concetti e delle proposte. [4]
    La verità sperimentale, o materiale, relativa al contenuto della conoscenza, ai fatti ed alle constatazioni empiriche, il cui criterio di validità è la verifica, suppone la possibilità per i concetti dell'intendimento di designare e descrivere il reale sensibile, e conseguentemente un'adeguatezza del pensiero alla cosa pensata.
    La verità transcendentale, inventata da Kant e suscettibile secondo lui di salvare la metafisica, non riguarda gli oggetti di conoscenza, ma il pensiero nella sua capacità di conoscere il reale, e suppone che l'intendimento umano celi una facoltà di emettere giudizi "puri", dei "giudizi sintetici a priori".

La ragione pura conterrebbe in essa stessa i principi che garantiscono la rettitudine delle idee. Il razionalismo idealista kantiano presuppone un intendimento illusoriamente libero da ogni radicamento interno e da ogni costrizione esterna, vicino in ciò al senso comune, al "buon senso" cartesiano, cioè la facoltà innata dello spirito da distinguere la verità dal falso. Ma se la ragione garantisce la precisione e la coerenza delle rappresentazioni mentali, è perchè esiste necessariamente una chiarezza immanente al reale, un ordine implicito della totalità, un fondo indeterminato ma luminoso, precedente alla trasparenza delle rappresentazioni verbali come all'opacità delle manifestazioni sensibili.

Friedrich Jacobi ha sviluppato l'idea secondo la quale nessun'esperienza conoscitiva è realmente indipendente dall'"istinto primordiale" (Grundtrieb) proprio di ciascuno. La conoscenza non può essere sradicata dal suo basamento vitale. Per Nietzsche, una forza istintiva indefinita si manifesta attraverso l'attività dello spirito: la ragione a tutti i costi appare come una potenza che corrode la vita. Nel suo impiego comune, la ragione si manifesta: con un miscuglio di evidenze e di opinioni che appaiono come "ragionevoli" in una comunità; con un raggruppamento di idee ricevute e di abitudini di pensiero che rinviano a pratiche standardizzate; in giudizi di valore copiati su misura di ciò che è culturalmente e socialmente ammesso; mediante la credenza in una conformità di superficie tra le rappresentazioni verbali ed il reale recepito. In altre parole: la ragione è come "un cavallo che corre verso la sua stalla". [5]

Per Johann Hamann, contemporaneo di Kant, non c'è forma di ragione che non sia ancorata a "passioni" e pratiche individuali, ad interessi, subordinata ai valori di un mezzo socioculturale, e soggetta alle strutture della lingua. Un secolo più tardi, Wilhelm Dilthey sviluppa questa critica della ragione kantiana e mostra che la conoscenza dipende dai dati psichici e dalla diversità delle disposizioni psicologiche.

Platone aveva già richiamato l'attenzione sugli effetti perversi della retorica dei Sofisti, sulla coesione artificiale di argomentazioni che si accontentano di sviluppare opinioni "filodosse", e sui dibattiti superflui perpetrati dagli abitanti "della caverna". È per questo che il mythos ha il suo posto nella filosofia platonica, come in Erodoto, un posto che condivide con un logos precedente a qualsiasi dimostrazione di "verosimiglianza" [6], non perché la storia e la filosofia non possano liberarsi dal mito, ma perché il mito è necessario alla costruzione del pensiero, perché non c'è compimento senza preservazione dei modelli primordiali, perché il mito era già una forma evoluta di filosofia e di storia.

Dal tempo di Aristotele, si deprecano generalmente le rappresentazioni mitiche, supposte derivate da un'umanità infantile o antiquata, in nome di un pensiero raziocinante e di ampie vedute - è ancora l'atteggiamento di Hegel e dei positivisti della fine del diciannovesimo secolo -, come se esse non dipendessero da una coerenza ordinata, che lascia a volte lontano dietro di sé le costruzioni vacillanti del pensiero moderno. Si crede generalmente che le rappresentazioni mitiche siano soltanto balbettamenti del pensiero: al contrario, è a seguito di lunghi e sterili periodi di dibattiti e di spiegazioni, che lo spirito umano, stanco "di dare ragioni", ha forgiato il pensiero mitico.

L'astrologia, che si è sviluppata come concezione filosofica nell'ambito dell'universo stoico e forse già presso i primi pitagorici, era l'ereditiera del logos e del mythos. Il suo oggetto non è mai stato i significati particolari degli operatori e delle figure astrologiche, ma la ricerca, attraverso questi significati, delle loro strutture sottostanti e delle loro forme archetipiche, psichiche-astrali, direttamente ed internamente sperimentate dalla coscienza. Il contenuto specifico deriva dalla struttura che le genera, le armonizza e dà loro un senso. È per questo che non ci sono tipologie in astrologia, ma delle archetipologie. Queste strutture operanti, inscritte nella psiche ed animate dalla periodicità dei cicli planetari, rendono possibile la formazione di idee "transcendentali" e fanno sorgere rappresentazioni ideali, simboliche e mitiche, generalmente respinte da una ragione che rimane soltanto alla superficie del discorso.

Luigi Aurigemma osserva la permanenza trans-istorica del simbolo astrologico: le variazioni simboliche "sembrano organizzarsi attorno ad un centro di significati il cui grado di permanenza appare molto elevato." Abbastanza elevato anche perché arrivassimo a chiederci se, sotto a queste tonalità e colorazioni storiche, non rischiamo di incontrare, a questo livello della vita del simbolo, la figurazione di qualche esperienza collettiva endopsichica concreta ma indefinitamente rinnovata, e pertanto caricata di una affettività enorme, di una densità, di un grado di realtà capaci di darle tale permanenza al limite del metastorico. [7] Ernst Cassirer definisce il legame che collega il simbolo alla sua origine endopsichica con la nozione di pregnanza simbolica : "è al contrario la percezione stessa che deve alla sua organizzazione immanente un tipo" di articolazione "spirituale e che, presa nella sua struttura interna, appartiene anche ad una struttura dotata di senso. [8]

Il pensiero astrologico non prende le distanze dalla ragione in nome di un "irrazionalismo" nebuloso, pur essendovi in tal senso un ambiente propizio (crisi della coscienza moderna, sensazione crescente d'assurdità...), ma raccomanda di andare a fondo nella ragione, di accedere ad una razionalità più ampia, spostare il punto d'assemblaggio (Castaneda) dello spirito, che determina ciò che percepiamo e siamo portati a conoscere e riconoscere nell'ambito del reale. "L'uomo ha abbandonato la conoscenza calma per il mondo della ragione (...) e più egli si appende al mondo della ragione, più l'intenzione diventa effimera. [9] L'intenzione è quella disposizione psichica che mette lo spirito umano in contatto diretto con il reale nella sua totalità. La "piccola ragione", che blocca questo collegamento, è un atteggiamento difensivo dello spirito umano, la posizione più statica e sterile del punto d'assemblaggio. È soltanto una stampella per il pensiero: "il pensiero comincia soltanto quando abbiamo provato che la ragione, sospinta per secoli, è l'avversario più ostico del pensiero." [10] Heidegger sottolinea l'importanza di fare "in modo che il messaggio silenzioso della parola riguardo l'Essere abbia il predominio sul richiamo rumoroso del principium rationis come principio di qualsiasi rappresentazione." [11] Perché "l'uomo d'oggi affronta il grave pericolo di non misurare la dimensione di ciò che è grande, se non è in base alla sovranità del principium rationis." [12]

L'astrologia non può essere sottoposta al vaglio delle sperimentazioni e dei modelli scientifici attuali, né addomesticata (Heidegger) ai criteri della natura scientifica: genera un altro tipo di razionalità che si riferisce agli stati psichici, non ad oggetti fisici o ideali. Opera per insiemi, non per elementi; percepisce il reale nella sua globalità ed attraverso gli operatori psichico-astrali, con un approccio trasversale, e non orizzontale. Dipende da un paradigma organicistico, e non meccanicistico. Possiede una propria logica e proprie esigenze, che sarebbe sbagliato qualificare come intuitive prima di averle osservate più da vicino. Possiede la sua lingua, "una proto-lingua", che spiega un "fenomeno" nella sua totalità e sotto i suoi diversi aspetti, così come appare alla coscienza. Sviluppa una modalità di ragionamento propria, la ragione matriciale, che non è assimilabile alla ragione sperimentale della scienza, né alla ragione discorsiva dei filosofi.

La scienza include ogni fenomeno sotto una stessa prospettiva; l'astrologia coordina diverse prospettive pur preservando la specificità di ciascuna e le combina a partire dalle disposizioni archetipiche dello spirito, cosa che implica un'interiorizzazione del fenomeno conosciuto. E precisamente poiché genera una forma di razionalità più ingerente (Karl Jaspers) di quella scientifica, l'astrologia è denigrata dalle comunità scientiste. Ernst Jünger nota che la scienza "si lascia sistemare senza difficoltà e senza nulla perdere della sua dignità nel sistema astrologico, ma non vale il viceversa. [13] Infatti, il Saturno degli astrologi è un operatore simbolico che spiega bene il ruolo della scienza nell'insieme.

L'astrologia è di fatto questa psicologia o "fenomenologia transcendantale" annunciata e formalizzata da Husserl: "quanto la scienza dello spirito, come scienza omni-inglobante del mondo dello spirito, possiede come tema tutte le persone, tutti i tipi di persone e di prestazioni personali, tutti i tipi di configurazioni personali, che chiamamo qui configurazioni culturali, tanto include la scienza della natura e la natura ai sensi di tale scienza, la natura come realtà." [14]
 
 

3. La Scienza Di Fronte all'Astrologia

"Tutti finiranno per somigliare a tutti! (...) una razza di scienziati e di matematici,
tutti destinati a, e tutti a lavorare per, la più grande gloria della super-civilizzazione."

( Edward Albee, 1962 )
 

Il materialismo moderno è quello stato d'animo generato dall'ipertrofia del mentale, dalla presenza invadente della tecnica meccanizzata, dall'ossessione del capire il reale per mezzo della "piccola ragione", e con il restringimento conseguente del nostro orizzonte esistenziale ed emozionale. Nella tecnopoli moderna, è diventato disusato formulare giudizi sintetici (Kant), a priori o anche a posteriori. Ciò che non è "scientifico" non è conoscenza, ma letteratura. La ragione sperimentale, che regna da padrona assoluta, non cerca di comprendere ciò che è, ma di descrivere e spiegare ciò che funziona. Produce una conoscenza cresciuta sulla base di un'abilità. Non risponde al perché, ma al come. Aggira le questioni metafisiche decisive, che hanno perso ogni significato nel contesto del suo processo. Le tecnoscienze non esplorano le basi ed i principi della loro realtà. Non rispondono nemmeno alle domande sollevate dai loro risultati, come la domanda delle costanti fisiche (velocità della luce, carica dell'elettrone, costante di gravitazione...). [15] Da un punto di vista metafisico: "la conoscenza scientifica della natura non dà (...) nessuna conoscenza effettivamente illuminante della natura, nessuna conoscenza ultima." [16]

Il giudizio è sottomesso ai dati ed ai risultati di tecniche empiriche: "semplici scienze di fatti formano una semplice umanità di fatto." [17] La conoscenza scientifica non solo è trasportata dai "fatti", ma anche dai suoi strumenti di misura ed i suoi dispositivi sperimentali. L'osservazione, l'esperienza e la teoria sono legati ai mezzi della sperimentazione. L'approccio strumentale sorge all'inizio dello XVII secolo: "Prima del 1590, il parco strumentale delle scienze fisiche si limitava agli apparecchi d'osservazione astronomica." Nel centinaio di anni che segue, si constatano l'introduzione e l'impiego del telescopio, del microscopio, del termometro, del barometro, della pompa ad aria, del rivelatore di carica elettrica e di altri dispositivi sperimentali (...) In meno di un secolo, la scienza fisica diventa strumentale. [18] Questa rivoluzione tecnologica conduce alla fabbricazione di oggetti calcolati, misurati, e controllati da apparecchiature di cui si ignora la realtà sottostante. È l'analisi del funzionamento della macchina a vapore che conduce Sadi Carnot alla formulazione del secondo principio della termodinamica. È l'utilizzo del cannocchiale d'avvicinamento che conduce Galileo alla scoperta dei satelliti di Giove. Non bastava osservare attraverso il cannocchiale: occorreva soprattutto apprendere come adattare lo sguardo al cannocchiale. Come enuncia Bachelard, "gli strumenti sono soltanto teorie concretate." [19] L'esercizio tecnico-scientifico codifica operazioni strumentali. Max Horkheimer sottolinea i pericoli della strumentalizzazione della ragione nell'ambito della cultura tecnologica e tecnocratica: l'utilizzo dei mezzi tecnici proteso a un'efficacia massima a scapito dei fini, la riduzione dell'azione umana al lavoro progettato, e l'estensione illimitata del potere tecnico sulle cose e sugli individui. [20]

Nel XX secolo, la fisica meccanicista è diventata probabilista. L'esperienza si preoccupa di ratificare una probabilità di massa. Operando su elementi quantitativi e non qualitativi, presuppone la comparabilità dei fenomeni. Nelle sue applicazioni, il criterio utilitaristico elimina l'intenzione conoscitiva. Le teorie sono scelte secondo la loro efficacia, la loro prestazione, o la loro ripercussione tecnologica. Qualsiasi intento suscettibile di risultare in una conoscenza transcendente andando oltre pratiche standardizzate viene eliminata. [21] Thomas Kuhn mostra l'incommensurabilità delle teorie scientifiche attraverso i secoli, e la loro coincidenza con periodi di "crisi" che precedono l'arrivo di un nuovo "paradigma". Descrive "lo sviluppo scientifico come una successione di periodi tradizionalisti, punteggiati da rotture non cumulative." [22]

L'ideologia scientista rivendica il monopolio della conoscenza come obiettività impersonale. In realtà l'obiettività scientifica, questa soggettività degli scienziati, deriva dall'accettazione di metodi, di pratiche, e di teorie garantite da una comunità di esperti autorizzati. La ricerca scientifica si basa su una prassi socioculturale istituzionalizzata e su un consenso ideologico che essa stessa influenza. Si iscrive in un sistema di valori e di credenze collettive: ieri la teoria dell'etere, oggi quella del Big Bang, o ancora, ieri la pratica dell'intaglio, oggi quelle dell'ablazione e della vaccinazione. Da questo punto di vista, la razionalità scientifica non è più "oggettiva" della cosmologia sumerica, o della mitologia bantu. Come qualsiasi conoscenza, è in parte un "romanzo", una presunzione dello spirito umano, un manufatto della coscienza.

Da parte sua, il pensiero razionalista rifiuta ogni proposta non "dimostrata" secondo i suoi criteri, secondo il preconcetto che un enunciato deve rinviare ad una realtà tangibile e misurabile, sradicata dalle impressioni che sono all'origine del giudizio. Ma questa realtà che funge da referente, è soltanto un'ipotesi (Guillaume di Ockham), uno schema semplificato dell'esperienza vissuta. Così si nega alla coscienza di vedere, e all'intelletto di pensare, ciò che vale la pena di essere visto e pensato. Ciascuno è ferrato con le pratiche tecnico-analitiche su un frammento di realtà, estirpato dalle realtà che gli sono legate. L'arrivo della scienza moderna conduce ad un relativismo che offusca ogni intenzione metafisica. L'essenziale scompare gradualmente dalle preoccupazioni della coscienza. La neutralizzazione del corpo e dello spirito, e soprattutto la "decivilizzazione del cuore" (Robert Musil) aumentano il settarianismo delle contestazioni e delle riabilitazioni parziali. Nelle fabbriche moderne della conoscenza, l'organizzazione della ricerca impone un frazionamento eccessivo delle capacità: si accredita il mediocre o il poco importante, realizzato con più o meno destrezza, si impone una tecnicità ultra-efficiente al servizio di lavori irrisori. Oscurantismo superfluo che ci allontana sempre più da noi stessi. [23]

La scienza contribuisce a modellare l'ambiente socioeconomico con le sue produzioni tecnologiche. [24] La sua concezione del reale non è necessariamente più legittima o più fertile, ma semplicemente quella che è ancorata di più ai nostri modi di vita e di percezione. E quali sono questi modi di vita? Emerge qui la contraddizione stupefacente della mentalità moderna: da un lato si afferma la precisione delle nostre rappresentazioni mentali e la necessità del mantenimento esclusivo dei criteri scientifici, a scapito delle altre forme di conoscenza, poiché questi criteri sarebbero i soli a garantire la precisione dei risultati e soddisfare le esigenze della ragione moderna; d'altra parte si concede volentieri che la civilizzazione, nonostante tutti i suoi vantaggi tecnologici, è un fiasco sul piano umano: condizioni di vita intollerabili nelle metropoli industrializzate, proliferazione del suicidio dei giovani e dei meno giovani, deterioramento dei costumi, atrofizzazione delle componenti etica ed emozionale della coscienza, scomparsa di qualsiasi facilità di utilizzo negli scambi interindividuali, distruzione lenta ed inesorabile degli ecosistemi - che sono soltanto le manifestazioni visibili del solo "evento" della storia contemporanea: la distruzione interna dell'uomo. Ci sarebbe dunque allo stesso tempo competenza intellettuale ed impotenza politica: il mondo sarebbe pensato da una fenice, ma governato da incapaci. Ovviamente le nostre produzioni materiali e le nostre rappresentazioni mentali piegano le nostre condizioni d'esistenza. La modernità ottiene soltanto il mondo che modella.

La scienza appare come un'attività, una conoscenza funzionale, che crea oggetti, acceleratori di particelle, elaboratori, prodotti alimentari... D'altra parte quest'attività è sostenuta da istituzioni realizzate per farla funzionare. Con la sua dimensione ideologica, la scienza è diventata ciò che la religione e la morale cristiana, al secolo di Marx, sembravano ancora essere: l'oppio dei popoli. La critica delle scienze positive e della tecnologia moderna, formulata a seconda dei diversi punti di vista da Ernst Mach, Edmund Husserl, Heidegger, Bohr, Habermas, Kuhn, Feyerabend e molti altri, non significa la loro condanna, ma la messa in evidenza dei loro limiti e dei loro abusi: obiettività relativa della razionalità scientifica, ingerenza in settori in cui non può applicarsi, produzione intrinseca di un'ideologia, detta scientista, che ha ostacolato lo spiegamento di altre forme di sapere. La critica non riguarda dunque la scienza come teoria della natura, ma le sue applicazioni tecnologiche abusive ed il suo monopolio ideologico della conoscenza.
 


[1] "C'è un'unità astrologica transistorica e transculturale che scorre come un filo di collana fra le perle" (Gilbert Durand, "L'astrologie, langage de l'Unus Mundus", in L'astrologie, collezione Cahiers de l'Hermétisme (dir. Antoine Faivre & Frédérick Tristan), Albin Michel, 1985, p.201).

[2] L'archetipo in senso junghiano è una forma vuota, una virtualità formativa, una forza psichica capace di strutturare la coscienza, senza contenuto rappresentativo specifico: qualsiasi interpretazione dell'archetipo è soltanto una traduzione possibile nell'ambito di un sistema di rappresentazioni. "I prototipi sono fattori d'ordine formale che strutturano i processi psichici incoscienti, di "patterns of behaviour" (...) "L'archetipo è la forma, afferrabile con l'osservazione interna, dell'ordine a priori nell'ambito psichico." (Carl Jung, Synchronicité et Paracelsica, traduzione francese ad opera di Albin Michel, 1988, p.38 et p.106).

[3] Will Erich Peuckert considera questa nozione come il terzo principio dell'astrologia, dopo quelli sul tempo e sull'ordine (in L'astrologie, traduzione francese ad opera di Payot, 1965, p.251-252).

[4] Emmanuel Kant, Critica della ragion pura, traduzione francese ad opera di Garnier-Flammarion, 1976, p.114-115.

[5] La formula è del filosofo indonesiano Ranggawarsita (XIXè siècle) : cf. Denis Huisman, Dictionnaire des philosophes, Parigi, P.U.F., 1984, vol. 2, p.2191.

[6] Carnéade fu il primo a deviare lo spirito del platonismo.

[7] Luigi Aurigemma, Il segno zodiacale dello Scorpione nelle tradizioni occidentali dall'antichità greco-latina al Rinascimento, Paris, Mouton / E.H.E.S.S., 1976, p.104.

[8] Ernst Cassirer, La filosofia delle forme simboliche, traduzione francese ad opera di de Minuit, 1972, vol. 3, p.229.

[9] Carlos Castaneda, La forza del silenzio, traduzione francese ad opera di éd. Gallimard, 1988, p.154.

[10] Martin Heidegger, Cammini che non portano a nulla, traduzione francese ad opera di Gallimard, 1962, p.322.

[11] Martin Heidegger, Il principio di ragione, traduzione francese ad opera di Gallimard, 1962, p.268.

[12] Martin Heidegger, Ibid., p.254.

[13] Ernst Jünger, Il muro del tempo, traduzione francese ad opera di Gallimard, 1963, p.14.

[14] Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, 1954; traduzione francese ad opera di Gallimard, 1976, p.330.

[15] Albert Einstein : "Credo in effetti che una teoria razionale non debba introdurre costanti che sia ammissibile (a dio) scegliere. Quando si sono eliminate le costanti dimensionate, quelle che restano alla fine (costanti senza dimensione) devono, di conseguenza, o essere definite razionalmente (come e o pi), o non intervenire nelle leggi." (in Lettera à Max von Laue, 24 aprile 1950; Opere Scelte 5, Le Seuil 1991, p.113). "La loro esistenza apparente giace sul fatto che non siamo andati abbastanza a fondo nelle cose." (in Lettera à Ilse Rosenthal-Schneider, 11 maggio 1945; Opere Scelte 5, Le Seuil 1991, p.111).

[16] Edmund Husserl, Op. cit., p.215.

[17] Edmund Husserl, Ibid., p.10.

[18] Thomas Kuhn, La tensione essenziale, 1977; traduzione francese ad opera di Gallimard, 1990, p.85.

[19] Gaston Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, P.U.F., 1966, p.12.

[20] Max Horkheimer, Eclissi della ragione, 1947 ; traduzione francese ad opera di Payot, 1974.

[21] La medicina in senso lato (comprese chirurgia e psichiatria) è l'esempio caratteristico di un tale abuso di potere : sovra-medicalizzazione e rifiuto eccessivo di pratiche e di conoscenze rese marginali.

[22] Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962; 1970; traduzione francese ad opera di Flammarion, 1983, p.282.

[23] "La fine ultima - la civiltà - si perde di vista; il mezzo - l'attività scientifica moderna - s'inbarbarisce..." (Nietzsche, Ecce Homo, in Opere filosofiche complete, vol. 8.1, traduzione francese Jean-Claude Hémery, Gallimard, 1974, p.291).

[24] Thomas Kuhn sottolinea che il ravvicinamento della scienza e della tecnologia si ha soltanto alla fine del secolo XIX: "Fino al tardo secolo XIX, le innovazioni tecnologiche significative non sono quasi mai venute dagli uomini, dalle istituzioni o dai gruppi sociali che contribuivano alle scienze." (in La tensione essenziale, 1977; traduzione francese ad opera di Gallimard, 1990, p.204).
 
 
  Astrologia: Il Manifesto (parte 2)
 
 

Référence de la page:
Patrice Guinard: Astrologia: Il Manifesto (parte 1)
http://cura.free.fr/cura2/904m-it1.html
traduzione Dario Rizzo
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